BERTO FOR INDETAIL: #INTERVIEW
Ti ricordi l’esatto momento in cui hai deciso di diventare fashion designer?

Non ricordo l'esatto momento. Personalmente penso sia stata una naturale evoluzione dei miei interessi e della mia indole che mi ha portato a formarmi in questo settore. Sin da piccola infatti, ero attratta dalla materia tessuto e passavo il tempo ad osservare le persone, sia come vestivano che ai dettagli dei loro abiti. Ho iniziato a cucire da sola e poi, nel tempo libero, a frequentare la sartoria di mia zia per affinare la tecnica. Successivamente ho studiato industrial design ed infine fashion design.
Penso che questo progetto sia un'intuizione geniale in quanto si da l'opportunità ai brand emergenti di non bloccarsi a causa dei famosissimi "minimi di produzione" e poter partire senza il freno a mano tirato.
Qual è stato il tuo primo progetto?

Il mio primo progetto è un abito-grembiule reversibile. Ho curato l'intero iter, dalla sua ideazione sino alla confezione sartoriale. Mi piace inserirlo nella lista dei progetti in quanto fu realmente una delle mie prime idee a prendere forma. Un legame affettivo ed un ricordo piacevole di quando frequentavo la sartoria di zia Giuliana per imparare il mestiere. Questo approccio sia mentale che manuale è tuttora parte integrante del mio modus operandi: lavoro a stretto contatto con la mia modellista cucendo personalmente tutte le prime telette. Questo mi permette di studiare e lavorare meglio sulla vestibilità per rendere più confortevole possibile il capo e in linea con quello che è la mia visione.

Il processo creativo: lavori in modo istintivo o piani chi ogni singolo step? Da dove arrivano le tue idee?

Con le tempistiche serratissime di questo settore sarebbe opportuno programmare ogni singolo passo, sia nel breve che nel medio-lungo periodo. Nel mio piccolo sto cercando di allinearmi e gestire sempre meglio il tempo, che essenzialmente è il bene più prezioso che esista. Mi piacerebbe dire di riuscire a distinguere ogni singola fase ma, essendo sola, spesso mi ritrovo a gestire più situazioni nel medesimo momento. Le idee nascono da una personale rielaborazione e da una serie di connessioni di tutti quegli stimoli esterni che capto mentalmente o raccolgo fisicamente. Spesso annoto su carta idee o intuizioni che vengono riprese in un secondo momento per essere rielaborate.

Che cosa hai pensato quando sei stato contattato da Berto?

In realtà sono stata io a contattare Berto. Ho avuto il piacere di conoscere Arianna, la responsabile del progetto, durante una "social table dinner" organizzata dal Momi Restaurant di Nove (provincia di Vicenza). La social table dinner nasce con l'intento di radunare persone che non necessariamente si conoscono attorno allo stesso tavolo per discutere a cena di varie tematiche legate da un filo conduttore. In quell'occasione un'amica ha presentato la sua capsule collection in collaborazione con Berto e quindi sono venuta a conoscenza di "Berto4YoungTalent". Penso che questo progetto sia un'intuizione geniale in quanto si da l'opportunità ai brand emergenti di non bloccarsi a causa dei famosissimi "minimi di produzione" e poter partire senza il freno a mano tirato. Ci fossero più aziende così!

Con quali dei tessuti di Berto hai lavorato per il tuo progetto e le tue collezioni?

Ho inserito per la prima volta il denim in una collezione. Per la prossima stagione estiva ho utilizzato il GLOBE SKY 8 per il blazer, due tipologie differenti di pantaloni, gonna lunga e gilet. Il Bonsai, invece, per una camicia asimmetrica che ho presentato sia nella versione maniche lunghe sia smanicata.

Qual è la parte più significativa di Berto for Talents secondo te? Quali obiettivi sei stato in grado di raggiungere grazie a questo programma?

Come dicevo prima è una vera e concreta opportunità. Si ha la possibilità di lavorare con tessuti di qualità senza essere bloccati dall'ostacolo dei minimi di produzione che è un reale scoglio per i brand emergenti.

“Less but better” può essere letto come l’approvazione di un certo grado di purezza nel design ma anche nel fashion design. Può anche essere inteso come un messaggio ambientale sulla riduzione e la sostenibilità. Cosa ne pensi?

Nelle parole "less but better" mi ritovo molto, sia per quanto riguarda l'estetica e la progettualità di InDetail sia per la mia vita privata. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia sensibile alla tematica ambientale e all'importanza della natura stessa quindi sin da piccola sono stata educata al "rispetto". Penso che ridurre l'impatto sull'ambiente debba divenire la priorità di ogni realtà. Siamo in un momento in cui dobbiamo agire e non possiamo più rimandare. Nel mio piccolo cerco di proporre capi di qualità e durevoli nel tempo; cerco di tenermi informata, per esempio ho partecipato da poco ad Out Of Fashion, un corso di moda consapevole promosso dall'associazione milanese Connecting Cultures dove ho avuto la possibilità di confontarmi con esperti del settore quali il signor Mauro Rossetti dell'Associazione Tessile e Salute, l'ingeniere Claudio Tonin dell'ISMAC (Istituto delle Macromolecole U.O.S. di Biella), lo studio MEIDEA per quanto riguarda il mondo del denim e molti altri. Cerco, in sostanza, di collaborare con aziende allineate al mio pensiero. E comunque di strada ne ho ancora da fare!

C’è qualcosa che non hai mai fatto e che ti piacerebbe realizzare?

Ho una lista lunghissima!

www.indetail.it