BERTO FOR FILOTIMO: #INTERVIEW
Ti ricordi l’esatto momento in cui hai deciso di diventare fashion designer?

Non credo ci sia stato un momento preciso. Di certo avevo in mente un programma completamente diverso. Ho fatto il liceo classico e la mia idea era studiare poi antropologia. Allo stesso tempo, però, avevo una grande curiosità verso questo mondo e mi è sempre piaciuto sperimentare e provare a realizzarmi qualche abito o accessorio. Non avrei mai pensato potesse diventare il mio lavoro però. Sono una persona che si stanca facilmente delle cose e credo di aver capito di voler fare questo quando ho visto che, dopo alcuni anni, la passione aumentava anziché affievolirsi. 
Spesso si ha l’idea che rinunciare alla quantità sia una privazione, in realtà credo che sia solo questione di cambiare punto di vista.
Qual è stato il vostro primo progetto?

Probabilmente la tesi di laurea è stata il mio primo vero progetto e uno dei primi in cui mi sono confrontata con il tema della sostenibilità come principio imprescindibile. Volevo che fossero i materiali a dettarmi le idee, le forme, i modelli dei capi e non viceversa. Seguire un’ispirazione per poi trovare dei tessuti che si adattassero ad essa. Mi sembrava il modo migliore per non dover scendere a compromessi tra estetica e sostenibilità. Con Filotimo cerco di seguire lo stesso modello progettuale.

Il processo creativo: lavori in modo istintivo o piani chi ogni singolo step? Da dove arrivano le tue idee?

Non sono una persona metodica e organizzata, purtroppo. In certi casi esserlo mi aiuterebbe molto, ma mi sono anche resa conto che se programmo eccessivamente le cose finisco per sentirmi limitata nelle idee. La prima parte del processo creativo è molto istintiva nel mio caso. Poi alcune cose funzionano subito, e arrivano ad essere realizzate con una naturalezza che è sorprendente, altre no. Per come sono fatta, sarei tentata di abbandonarle e pensare ad altro. Negli anni però ho capito che avere un po’ di costanza, in questi casi, serve a non rinunciare a progetti con grande potenziale che hanno solo bisogno di una “sistemata”.  Per quanto riguarda le idee, nella maggior parte dei casi arrivano da chissà dove e in momenti totalmente casuali. Per quelle un po’ più programmate, invece, mi aiuta moltissimo osservare i dettagli, guardare con attenzione un film, leggere un libro, sottolineando le frasi che mi colpiscono, cambiare strada per tornare a casa e vedere nuove viette, nuove case…

Che cosa hai pensato quando sei stato contattato da Berto?

A dire il vero, sono stata io a contattavi per la prima volta. Una ragazza che conosco mi aveva parlato di voi e del vostro progetto “Berto for Young Talents” e mi ha subito colpito. Per le piccole realtà come la mia, avvicinarsi ad aziende grandi e strutturate è sempre un’impresa epica e spesso inconcludente. Credo sia un peccato però. Ci sono imprese che nascono piccole ma con un grande potenziale, e se nessuno è disposto a dar loro fiducia e investirci che possibilità hanno di crescere? Per questo ho trovato il vostro progetto lungimirante, che di questi tempi è una gran cosa. Quando poi abbiamo iniziato a collaborare concretamente mi sono resa conto che non era solo un progetto di facciata, ma un modo reale di essere d’aiuto a tanti giovani designer. Ho trovato in Francesca una figura competente e disponibile, che ha risposto con pazienza ai miei dubbi e alle mie domande, alcune anche banali visto che mi affacciavo per la prima volta al mondo del denim. 

Con quali dei tessuti di Berto hai lavorato per il tuo progetto e le tue collezioni?

Ho usato principalmente due tipologie di tessuto EDEN e NATURAL, entrambi 100% cotone biologico, sia nella versione indaco che naturale.

Qual è la parte più significativa di Berto for Talents secondo te? Quali obiettivi sei stato in grado di raggiungere grazie a questo programma?

Vedi risposta 4 :)

“Less but better” può essere letto come l’approvazione di un certo grado di purezza nel design ma anche nel fashion design. Può anche essere inteso come un messaggio ambientale sulla riduzione e la sostenibilità. Cosa ne pensi?

Credo sia il punto di partenza per un nuovo modo di vivere la moda e più in generale la quotidianità. Ormai è chiaro a tutti che abbiamo più di quanto ci serva e che consumiamo più di quanto il nostro pianeta riesca a produrre. Spesso si ha l’idea che rinunciare alla quantità sia una privazione, in realtà credo che sia solo questione di cambiare punto di vista. È fondamentale riscoprire la qualità legata ai materiali, alla cura e alla lentezza del processo produttivo.

C’è qualcosa che non hai mai fatto e che ti piacerebbe realizzare?

Troppe cose. Le idee sono tante ma richiedono molto tempo e tentativi, che non sempre riesco a incastrare nelle incombenze quotidiane. Sicuramente la ricerca di materiali nuovi è in cima alle nostre priorità, poi ci sarebbe un’ipotetica linea maschile di cui si parla da tempo ma che non ha ancora preso forma. 


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